LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE Ha emesso la seguente ordinanza sul ricorso n. 6047/09 spedito l'8 aprile 2009 avverso silenzio rifiuto istanza rimb. IRPEF 1983 rit: alla fonte contro Agenzia delle entrate ufficio Milano 1, proposto dal ricorrente Dresdener Bank A.G. piazza degli Affari, 3 - 20123 Milano, difeso da: avv. Mattarelli Francesco, via Vittor Pisani, 27 - 20100 Milano F a t t o Con il ricorso in epigrafe la Dresdner Bank A.G. impugnava il silenzio rifiuto dell'Agenzia delle entrate, ufficio di Milano 1, a fronte di un credito emergente dalla dichiarazione mod. 770 bis 1984 per l'anno 1983 per complessivi L. 45.519.855. La ricorrente, premesso di aver presentato istanza di sollecito di rimborso in data 15 maggio 1996, rimasta inevasa, rilevato che il credito di cui si chiede il rimborso non era stato mai contestato in sede di accertamento e pertanto era diventato certo, rilevato di aver presentato una seconda istanza e sollecito di rimborso il 27 settembre 2005, anch'essa non eseguita, concludeva chiedendo il rimborso della somma capitale e degli interessi maturati oltre alla condanna dell'Ufficio alla rifusione delle spese di lite. L'Ufficio si costituiva ed eccepiva in via esclusiva la prescrizione del diritto al rimborso, concludendo per il rigetto del ricorso con compensazione delle spese di lite. A parere dell'Ufficio, che richiama la sentenza n. 2687 del 2007 della Corte di cassazione, il termine decennale decorre dalla data di presentazione della dichiarazione: pertanto, nella fattispecie, poiche' la dichiarazione era stata presentata il 27 aprile 1984, la prescrizione si sarebbe compiuta il 28 aprile 1994, cioe' due anni prima del primo sollecito di rimborso - del 15 maggio 1996 - finalizzato all'interruzione della prescrizione. Anche volendo considerare il termine piu' ampio, che decorre della scadenza assegnata all'Ufficio per il controllo formale ex art. 36-bis, il diritto al rimborso si sarebbe comunque prescritto il 31 dicembre 1995 e dunque anteriormente alla prima istanza di sollecito. Alla pubblica udienza del 28 aprile 2010 il rappresentante della societa', rilevato che l'Amministrazione non contesta nel merito la legittimita' del rimborso limitandosi ad eccepire l'avvenuta prescrizione del diritto, premesso che, net caso di specie, avrebbe dovuto farsi riferimento, al fine di definire la decorrenza della prescrizione decennale, al termine quinquennale previsto dall'art. 43 del d.P.R. n. 600/73 relativo al potere di accertamento dell'Amministrazione fiscale, opponeva, a conferma delta legittimita' della propria richiesta, il disposto dell'art. 2, comma 58, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 secondo cui l'Agenzia delle entrate provvede alla erogazione dello eccedenze di IRPEF e IRPEG dovute in base alle dichiarazioni del redditi presentate fino al 30 giugno 1997, senza far valere la eventuate prescrizione del diritto del contribuente di cui chiedeva l'applicazione. D i r i t t o La Commissione osserva quanto segue. a) Secondo un consolidato orientamento della Corte di cassazione l'esposizione di un credito d'imposta nella denuncia del redditi costituisce, in se', istanza di rimborso e, come tale, soddisfa la condizione posta dall'art. 38 del d.P.R. n. 602/1973 per evitare la decadenza del credito. I giudici di legittimita', che hanno affrontato numerose volte la questione, sono concordi nel ritenere che l'art. 38 del d.P.R. n. 602/1973 e la decadenza ivi prevista non e' applicabile all'ipotesi di credito di imposta risultante dalla dichiarazione dei redditi, dato che l'art. 38 richiamato disciplina situazioni totalmente differenti, e cioe' quando si sono verificati fatti che impongono al contribuente di attivarsi entro un determinato termine per fare conoscere all'Amministrazione sia la fonte del preteso diritto al rimborso che la volonta' di ottenere il rimborso. Tali fatti, per previsione espressa e tassativa dell'art. 38 DPR n. 602/73 (che sancendo una decadenza e' norma di stretta interpretazione) sono l'errore materiale, la duplicazione, l'inesistenza totale o parziale dell'obbligo di versamento. Nessuno di questi fatti si e' verificato nel caso sottoposto ad esame, sicche' la norma invocata risulta totalmente estranea ed indifferente. Questo non significa pero' che il contribuente non possa proporre il ricorso previsto dagli articoli 18 e 19 del d.lgs. n. 546/92, al fine di ottenere il rimborso del credito indicato in dichiarazione. Escludere tale possibilita' comporterebbe un conflitto di tali norme con l'art. 113 della Costituzione, che garantisce la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi della giustizia ordinaria o amministrativa. Il fatto che il credito risultante dalla dichiarazione dei redditi non rientri nelle ipotesi di silenzio-rifiuto previste dall'art. 38, commi 1 e 2 del d.P.R. n. 602/73, non significa, dunque, che il silenzio-rifiuto non possa risultare in altro modo. L'art. 19 lettera G del d.lgs. n. 546/92 considera impugnabile il rifiuto espresso o tacit° della restituzione di tributi, sanzioni pecuniarie ed interessi o altri accessori non dovuti, concetto ben piu' ampio e non strettamente correlato al procedimento descritto nell'art. 38 del d.P.R. n. 602/73 che, come gia accennato, assoggetta l'istanza di rimborso a termini di decadenza non suscettibili di estensione all'ipotesi di rimborso di credito risultante dalla dichiarazione. In questa ultima ipotesi, invece, l'istanza di rimborso e' formulata con la stessa dichiarazione dei redditi da cui risulta il credito d'imposta. Sulla base della giurisprudenza appena richiamata, dunque, qualora il contribuente abbia evidenziato nella dichiarazione un credito d'imposta: non si applica, al fini del rimborso del relativo importo, il termine di decadenza previsto dall'art. 38 del d.P.R. n. 602/73, ma l'ordinario termine di prescrizione decennale; non occorre la presentazione di un'apposita istanza, in quanto l'Amministrazione, resa edotta con la dichiarazione dei conteggi effettuati dal contribuente, e' posta in grado di conoscere la pretesa creditoria. b) Definita una volta per tutte la questione ed essendo oramai pacifico che il credito risultante dalla dichiarazione e' rimborsabile, se spettante, a prescindere da una autonoma stanza di rimborso ed e' soggetto all'ordinaria prescrizione decennale, l'ulteriore quesito affrontato dalla Corte di cassazione e' stato quello di individuare con chiarezza il dies a quo da cui far decorrere la prescrizione del termine di cui all'art. 2946 del codice civile. Infatti mentre da un lato si affermava che tale giorno coincideva con la data di presentazione della dichiarazione - sent. nn. 11416 del 5 settembre 2001 e 11511 del 7 settembre 2001 - dall'altro si riteneva che il termine decennale iniziasse a decorrere solo dopo che il credito si fosse consolidato a seguito di riconoscimento esplicito da parte della Amministrazione o di riconoscimento implicito, per non aver l'Amministrazione provveduto a rettificare la denuncia dei redditi entro il termine di cui all'art. 36-bis del 600/1973 o di quello previsto per la notifica dell'avviso di accertamento - sent. n. 11830 del 6 agosto 2002 e n. 3718 in data 14 gennaio 2005. Con l'ordinanza n. 5066 dell'11 marzo 2004 la sezione tributaria della Cassazione ha chiesto al Primo Presidente di sottoporre alle Sezioni Unite la questione al fine di risolvere il conflitto giurisprudenziale creatosi. La Corte di cassazione, Sezioni Unite, con sentenza n. 2687 del 7 febbraio 2007 ha dato risposta al quesito affermando che, poiche' il termine entro cui l'Amministrazione deve, ai sensi dell'art. 36-bis del d.P.R. n. 600/73, procedere al rimborsi eventualmente spettanti al contribuente, e' meramente acceleratorio nei confronti dell'Amministrazione stessa e non impone al contribuente di attendere la scadenza del termine per promuovere azione giudiziaria a tutela dei suoi diritti, la prescrizione decennale del diritto del contribuente inizia a decorrere con la presentazione della dichiarazione del redditi in cui e' chiesto il rimborso. I giudici di legittimita' hanno motivato la loro decisione partendo dall'esame del testo originario dell'art. 36-bis del d.P.R. n. 600/1973 che, nel regolare il controllo formale o cartolare sulle dichiarazioni dei redditi, impone agli uffici finanziari di procedere, oltre che alla liquidazione delle somme dovute, ai rimborsi spettanti al contribuente. La norma, nella sua formulazione originaria, non poneva alcun termine all'attivita' di controllo e in simile situazione era impossibile ipotizzare che si imponesse al contribuente di attendere sine die l'adempimento degli uffici. A parere dei supremi giudici, pertanto, e' logico supporre - in assenza di puntuali indicazioni testuali contrarie - che quando il legislatore e' intervenuto con il d.P.R. n. 506/79, per stabilire che l'attivita' di controllo debba compiersi entro il 31 dicembre dell'anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, abbia voluto espressamente fissare un limite temporale all'esercizio da parte della Amministrazione dei suoi poteri, senza peraltro istituire un limite anche all'esercizio dei diritti del contribuente. Cio' che accadrebbe, invece, qualora quest'ultimo non potesse esercitare il proprio diritto fino alla scadenza del termine entro cui la legge fa obbligo allo Stato di procedere al rimborso, trovando per questa via applicazione l'art. 2935 del c.c. secondo cui la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto puo' essere fatto valere. L'Amministrazione verrebbe, infatti, a trovarsi in posizione di ingiustificato vantaggio rispetto a qualsiasi altro debitore, potendo fruire di un termine dilatorio e privilegiato, con conseguenze sull'applicazione dell'art. 24 della Costituzione, dato che si porrebbe un limite all'esercizio giudiziale di un diritto. c) Risolta la questione relativa alla decorrenza del termine di prescrizione decennale nel senso di ritenere che la stessa inizia a decorrere con la presentazione della dichiarazione dei redditi in cui e' chiesto il rimborso, venendo alla fattispecie concrete, la Commissione osserva che l'istanza di rimborso a seguito della quale e' intervenuto il silenzio rifiuto dell'Amministrazione finanziaria e' quella presentata in sede di dichiarazione dei redditi nel 1984. Premesso che la dichiarazione de quo e' stata presentata il 27 aprile 1984, il termine decennale di prescrizione del credito, decorrendo, secondo quanto chiarito dalla Corte di cassazione nella sentenza n. 2687 del 7 febbraio 2007, da tale data, si e' compiuto il 28 aprile 1994. Ne consegue che poiche' il primo sollecito di rimborso, finalizzato all'interruzione del termine, e' del 15 maggio 1996, esso e' intervenuto quando il diritto era gia' prescritto. Vale la pena di sottolineare che la prescrizione e' intervenuta non solo con riferimento alla data di presentazione della dichiarazione ma anche con riferimento all'eventuale piu' ampio termine, peraltro escluso dalle Sezioni Unite della Cassazione, decorrente dalla scadenza assegnata all'ufficio per il controllo formale ex art. 36-bis (in questo caso il diritto al rimborso, infatti, si sarebbe prescritto il 31 dicembre 1995). La Commissione osserva che tali argomentazioni, tuttavia, non sono sufficienti a risolvere la controversia dato che la societa' ricorrente invoca l'applicazione dell'art. 2, comma 58, della l. n. 350/2003 laddove prevede the Nel quadro delle iniziative volte a definire le pendenze con i contribuenti, e di rimborso delle imposte, l'Agenzia delle Entrate provvede alla erogazione delle eccedenze di IRPEF e IRPEG dovute in base alle dichiarazioni dei redditi presentate fino al 30 giugno 1997, senza far valere la eventuate prescrizione del diritto del contribuente. d) In proposito la Commissione ritiene che debba essere sollevato, in quanto rilevante e non manifestamente infondato, il dubbio di costituzionalita' sull'art. 2 comma 58 della Legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione dei bilanci annuale e pluriennale dello Stato). Sulla rilevanza L'estinzione del diritto al rimborso per avvenuta prescrizione dove essere eccepita dalla parte che vi ha interesse ed in effetti l'Ufficio, nella fattispecie concreta, ha svolto le sue difese eccependo esclusivamente la tardivita' dell'istanza di rimborso proprio in funzione dell'avvenuta prescrizione. L'eventuale estinzione del diritto per prescrizione e' rilevante nel presente giudizio perche', a causa del tempo trascorso dal periodo di imposta in questione l'Ufficio non e' piu' in grado di verificare l'esito delle attivita' di liquidazione, posto che all'epoca non era stato ancora introdotto il Sistema Informatico dell'Amministrazione Tributaria, il quale solo in alcuni casi e' in grado di rilevare l'esistenza di rimborsi effettuati molti anni dopo e comunque non ha la possibilita' di stabilire con certezza che altri crediti non siano stati rimborsati; in ogni caso non e' in grado di verificare e riferire l'esito delle attivita' di liquidazione perche' si tratta di pratiche amministrative i cui fascicoli sono stati gia' destinati al macero. Peraltro l'obbligo della Pubblica Amministrazione di custodire la documentazione delle pratiche fiscali, fuori dai casi dell'esistenza di controversie in corso, non puo', essere prolungato oltre il termine ordinario di prescrizione, cosi' come e' stabilito per i privati dall'art. 2220 del codice civile, con la deroga prevista dall'art. 22, secondo comma del d.P.R. 600/73. L'oggettiva impossibilita, per l'Amministrazione Finanziaria, di contrastare nel merito la pretesa del ricorrente dovrebbe comportare, qualora non fosse eccepita la prescrizione, l'accoglimento del ricorso e la condanna dell'Agenzia al rimborso delle somme risultanti, come crediti di imposta, dalle copie delle dichiarazioni prodotte dalla ricorrente. Copie indubbiamente utilizzabili come prova, salvo che non ne sia esplicitamente contestata la conformita' agli originali (art. 2719 del codice civile), contestazione che non e' stata prospettata dall'Ufficio e che non potrebbe essere dedotta proprio perche' manca la disponibilita' degli originali (presentati a suo tempo al Centro di Servizio) e la possibilita' di un confronto. Dunque la questione relativa alla prescrizione del diritto e' di importanza risolutiva per la definizione del giudizio. Del resto la rilevanza deve essere valutata in funzione dell'inesistenza di una possibile diversa interpretazione, conforme a Costituzione, della norma denunciata ed in funzione di una diversa soluzione della controversia che prescinda dall'applicazione della norma sospetta d'incostituzionalita'. Nel caso di specie ne' l'una, ne' l'altra soluzione sono possibili. In primo luogo nessun'altra interpretazione e' possibile del citato articolo dato che esso e' chiaro nella sua portata letterale. In secondo luogo, come gia' osservato, non e' possibile risolvere la questione odierna senza la diretta applicazione della norma in contestazione. Considerata la rilevanza della questione, deve valutarsi l'ulteriore profilo della non manifesta infondatezza. Sulla non manifesta infondatezza A parere di questo Collegio, l'art. 2 comma 58 della Legge 24 dicembre 2003, n. 350, nel prevedere che (...) l'Agenzia delle Entrate provvede alla erogazione dale eccedenze di IRPEF e IRPEG dovute in base alle dichiarazioni dei redditi presentate fino al 30 giugno 1997, senza far valere la eventuale prescrizione del diritto del contribuente e' palesemente contrario ai principi costituzionali di uguaglianza, di ragionevolezza, di tutela giurisdizionale e di organizzazione dei pubblici uffici secondo criteri di buon andamento, di imparzialita' e di efficienza della Pubblica Amministrazione e viola gli artt. 3, 113 e 97 della Costituzione. 1) La norma e' contraria al principio di eguaglianza perche' discrimina tra le parti del processo e tra diverse categorie di contribuenti. A parere di chi scrive la norma in esame, che vieta solo ad una delle parti il potere di dedurre ed eccepire fatti e circostanze rilevanti ai fini della decisione costituisce un unicum di cui non vi e' altro esempio nella legislazione vigente. La struttura della norma e' singolare e irragionevole perche', pur incidendo sui diritti soggettivi ed in particolare sull'obbligo della P.A. di eseguire un rimborso, perviene a questo risultato non modificando le norme di diritto sostanziale sulla prescrizione (eventualmente prolungando la durata del termine), ma alterando i poteri processuali di una delle parti in causa. L'anomalia e' ancora piu' evidente ove si consideri the essa non modifica la disciplina del processo in modo paritario per le parti ma si rivolge soltanto ad un organo interno della Pubblica Amministrazione, vietandogli di esercitare una facolta' prevista in generale dall'ordinamento processuale, che resta in apparenza inalterato. Con questo singolare meccanismo normativo si incide sostanzialmente sull'istituto della prescrizione con efficacia retroattiva e in violazione dei principi generale, sanciti dall'art. 3 della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente), il quale stabilisce che le disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo e che i termini di prescrizione e di decadenza per gli accertamenti d'imposta non possono essere prorogati. La norma e' in contrasto con il secondo comma dell'art. 113 della Costituzione perche' esclude la tutela giurisdizionale della stessa Pubblica Amministrazione per determinate categorie di atti. Infatti essa vieta all'Agenzia delle Entrate di far valere la prescrizione soltanto per le eccedenze di IRPEF e IRPEG dovute in base alle dichiarazioni dei redditi presentate fino al 30 giugno 1997, favorendo, pertanto, solo alcune categorie di contribuenti a scapito di altri, a cominciare da quelli le cui dichiarazioni sono state presentate dopo il 30 giugno 1997. Ed e' questo il secondo profilo della violazione del principio di uguaglianza, sancito dall'art. 3 della Costituzione. 2) La norma e' contraria al principio di ragionevolezza perche' estendendo il divieto ai rapporti derivanti da tutte le dichiarazioni anteriori al 30 giugno 1997 senza alcun limite iniziale, offre ai contribuenti la possibilita' di riaprire ad libitum rapporti giuridici di credito anche risalenti al passato remoto. Essa contrasta con il principio di ragionevolezza anche perche' l'espressione Nel quadro delle iniziative volte a definire le pendenze con i contribuenti e' priva di senso e di contenuto precettivo, e si presenta come una giustificazione incongrua della speciale deroga alla generate applicazione delle norme sulla prescrizione. Infatti tale espressione non puo' che fare riferimento o a rapporti sub sudice, e quindi non suscettibili di prescrizione (giacche' il termine di prescrizione resta sospeso durante tutto il corso della lite e fino alla conclusione definitiva del processo, art. 2945 secondo comma del codice civile), oppure a rapporti tributari per i quali siano ancora aperti i termini di accertamento, per i quali ovviamente non puo' essersi verificata alcuna prescrizione. Ugualmente privo di senso e' l'inciso Nel quadro delle iniziative... di rimborso delle imposte perche' l'espressione iniziative di rimborso delle imposte non puo' fare riferimento che al rimborso d'ufficio, previsto dall'art. 42-bis del d.P.R. 602/73, e, in virtu' del rinvio contenuto nella suddetta norma, al potere/dovere dell'ufficio di procedere alla liquidazione delle dichiarazioni dei redditi ex art. 36-bis d.P.R. 600/73. Ma, nel senso suddetto, il riferimento all'iniziativa dell'ufficio non ha alcun significato normativo, anche perche' la liquidazione deve avvenire entro un termine piu' breve e percio' non puo' mai essersi verificata una prescrizione del diritto del ricorrente. Se poi, per assurdo, si volesse estendere la classe delle iniziative a tutte le richieste di rimborso provenienti dai contribuenti, la norma dovrebbe significare che di fronte a qualunque rivendicazione tardiva e remota, l'Agenzia delle Entrate non potrebbe piu' opporre alcuna difesa. Questo confermerebbe la censura di totale irragionevolezza. Dunque il divieto rivolto agli Uffici, di far valere la prescrizione, puo' fare riferimento soltanto al rimborso delle imposte il cui diritto sia stato gia' definitivamente riconosciuto dall'Amministrazione in uno dei modi sopra specificati dalle citate sentenze della Corte di Cassazione. Ma sotto questo profilo non si comprende quale possa essere la ragione di politica legislativa per cui lo Stato abbia voluto rinunciare ad un'eccezione fondata sulle norme di diritto comune (valevoli per tutte le situazioni di prolungata inerzia dell'avente diritto), favorendo, come gia' rilevato, soltanto alcuni contribuenti e penalizzando tutti gli altri. 3) La norma rivela la sua assoluta irragionevolezza e il contrasto inconciliabile con l'art. 97 della Costituzione di organizzazione dei pubblici uffici secondo criteri di buon andamento, di imparzialita' della Pubblica Amministrazione, ove si considerino gli effetti perversi che essa produce, perche' puo' dare adito a vere e proprie frodi in danno dell'erario. La liquidazione della dichiarazione, prevista dall'art. 36-bis del d.P.R. n. 600/73, non prevedeva, e non prevede tuttora, che il disconoscimento del credito di imposta, esposto nella dichiarazione dei redditi, debba essere formalmente comunicato al dichiarante. Infatti, mentre il primo comma stabilisce che all'esito della liquidazione l'Ufficio deve provvedere ad effettuare i rimborsi eventualmente spettanti in base alle dichiarazioni, il comma terzo stabilisce soltanto che, ai fini delle correzioni, esclusioni e riduzioni previste dal comma secondo, l'ufficio deve invitare il contribuente, anche a mezzo telefono o a mezzo posta, a fornire chiarimenti in ordine ai dati contenuti nella dichiarazione e ad esibire o trasmettere ricevute di versamento e altri documenti indicati nella dichiarazione ma ad essa non allegati o difformi dai dati forniti da terzi. Vero e' che la legge n. 212/2000 (statuto dei diritti del contribuente) all'art. 6 comma 2 stabilisce: L'amministrazione dove informare il contribuente di ogni fatto o circostanza a sua conoscenza dai quali possa derivare il mancato riconoscimento di un credito ovvero l'irrogazione di una sanzione, richiedendogli di integrare o correggere gli atti prodotti che impediscono il riconoscimento, seppure parziale, di un credito. Anche questa norma pero' non prevede l'emanazione, dopo la richiesta di chiarimenti e della esibizione di documenti, di un vero e proprio provvedimento di rigetto della richiesta di rimborso. Ma quand'anche si volesse affermare che da essa scaturisce l'obbligo dell'Amministrazione di comunicare il rifiuto del rimborso del credito esposto nella dichiarazione, essa non puo' esplicare effetti sul passato e sui procedimenti definiti prima dell'entrata in vigore della citata legge n. 212/2000. Dunque, in precedenza, e specificamente all'epoca in cui si procedeva alla liquidazione delle dichiarazioni presentate negli anni 1983/84, il dichiarante poteva essere informato del disconoscimento del credito solo indirettamente, quando riceveva un rimborso inferiore alla somma da lui esposta nella dichiarazione oppure quando la liquidazione metteva in evidenza non un credito ma un debito di imposta. Viceversa, quando l'ufficio, anche dopo avere chiesto chiarimenti e documenti, si limitava a disconoscere il credito di imposta, non era tenuto ad eseguire alcuna comunicazione al dichiarante. Si tratta di una carenza normativa, a cui tuttavia non e' possibile porre rimedio con la legge n. 212 entrata in vigore nel 2000. Questa deficienza va poi messa in relazione con la situazione determinatasi con il riordino degli uffici dell'amministrazione finanziaria e con la soppressione dei centri di servizio, che in passato erano deputati alle attivita' di liquidazione delle dichiarazioni dei redditi e di rimborso e recupero delle imposte liquidate. E si deve tenere conto delle esigenze di buona organizzazione e di economicita' nel funzionamento degli uffici, esigenze che impongono l'eliminazione della documentazione cartacea risalente ad annualita' remote e a rapporti ormai definiti ovvero non fatti oggetto di controversie pendenti. A cio' si aggiunga che anche i dati informatici relativi alle dichiarazioni ultradecennali talvolta non sono stati mai archiviati su supporto informatico, talaltra sono stati eliminati quando si trattava di dichiarazioni non assoggettate ad accertamento e/o a contestazione. Sta di fatto che le interrogazioni al SIAT non consentono di conoscere l'esito di dichiarazioni relative ad annualita' antecedenti al decennio. Queste circostanze hanno determinato la concreta impossibilita' dell'Ufficio di risalire agli atti di liquidazione compiuti in anni remoti e di giustificare la non spettanza del rimborso per le dichiarazioni risalenti agli anni 80. Risulta percio' evidente come sia possibile che alcuni contribuenti, malgrado l'inerzia serbata ben oltre il decennio della prescrizione, possano approfittare di questa situazione di impotenza della controparte per rispolverare vecchie dichiarazioni non piu' soggette ad accertamento (e dunque estranee a qualsivoglia contenzioso), che si chiudevano con un credito di imposta a suo tempo non riconosciuto e pretendere ora il rimborso, quando l'amministrazione finanziaria non e' piu' in grado di contrastare la pretesa a causa della distruzione delle pratiche cartacee e della preclusione dell'eccezione di prescrizione, rivolta soltanto agli uffici finanziari e contenuta nell'art. 2, comma 58, della l. 350/2003. Percio', deve ravvisarsi, sotto questi molteplici aspetti, un conflitto della citata norma con i principi sanciti dall'art. 97 della Costituzione, secondo cui gli uffici pubblici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialita' dell'amministrazione. e) E', dunque, necessario sollevare d'ufficio questione di legittimita' costituzionale della predetta norma, in relazione agli articoli 3, 97 e 113 secondo comma della Costituzione, posto che essa impedisce all'Agenzia delle Entrate di eccepire la prescrizione.