LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE 
 
    Ha emesso la seguente ordinanza sul ricorso  n.  6047/09  spedito
l'8 aprile 2009 avverso silenzio rifiuto  istanza  rimb.  IRPEF  1983
rit: alla fonte  contro  Agenzia  delle  entrate  ufficio  Milano  1,
proposto dal ricorrente Dresdener Bank A.G. piazza degli Affari, 3  -
20123 Milano,  difeso  da:  avv.  Mattarelli  Francesco,  via  Vittor
Pisani, 27 - 20100 Milano 
 
                              F a t t o 
 
    Con il ricorso in epigrafe la Dresdner  Bank  A.G.  impugnava  il
silenzio rifiuto dell'Agenzia delle entrate, ufficio di Milano  1,  a
fronte di un credito emergente dalla dichiarazione mod. 770 bis  1984
per l'anno 1983 per complessivi L. 45.519.855. 
    La ricorrente, premesso di aver presentato istanza  di  sollecito
di rimborso in data 15 maggio 1996, rimasta inevasa, rilevato che  il
credito di cui si chiede il rimborso non era stato mai contestato  in
sede di accertamento e pertanto era diventato certo, rilevato di aver
presentato  una  seconda  istanza  e  sollecito  di  rimborso  il  27
settembre 2005,  anch'essa  non  eseguita,  concludeva  chiedendo  il
rimborso della somma capitale e degli interessi maturati  oltre  alla
condanna dell'Ufficio alla rifusione delle spese di lite. 
    L'Ufficio  si  costituiva  ed  eccepiva  in  via   esclusiva   la
prescrizione del diritto al rimborso, concludendo per il rigetto  del
ricorso con compensazione delle spese di lite. A parere dell'Ufficio,
che richiama la sentenza n. 2687 del 2007 della Corte di  cassazione,
il termine  decennale  decorre  dalla  data  di  presentazione  della
dichiarazione: pertanto, nella fattispecie, poiche' la  dichiarazione
era stata presentata il 27 aprile 1984, la  prescrizione  si  sarebbe
compiuta il 28 aprile 1994, cioe' due anni prima del primo  sollecito
di rimborso - del 15 maggio 1996 - finalizzato all'interruzione della
prescrizione. Anche volendo considerare il termine  piu'  ampio,  che
decorre della scadenza assegnata all'Ufficio per il controllo formale
ex art. 36-bis, il diritto al rimborso si sarebbe comunque prescritto
il 31 dicembre 1995 e dunque  anteriormente  alla  prima  istanza  di
sollecito. 
    Alla pubblica udienza del 28 aprile 2010 il rappresentante  della
societa', rilevato che l'Amministrazione non contesta nel  merito  la
legittimita'  del  rimborso  limitandosi   ad   eccepire   l'avvenuta
prescrizione del diritto, premesso che, net caso di  specie,  avrebbe
dovuto farsi riferimento, al fine di  definire  la  decorrenza  della
prescrizione decennale, al termine quinquennale previsto dall'art. 43
del  d.P.R.  n.   600/73   relativo   al   potere   di   accertamento
dell'Amministrazione fiscale, opponeva, a conferma delta legittimita'
della propria richiesta, il disposto dell'art.  2,  comma  58,  della
legge 24 dicembre 2003, n. 350 secondo cui  l'Agenzia  delle  entrate
provvede alla erogazione dello eccedenze di IRPEF e IRPEG  dovute  in
base alle dichiarazioni del redditi  presentate  fino  al  30  giugno
1997, senza far valere la  eventuate  prescrizione  del  diritto  del
contribuente di cui chiedeva l'applicazione. 
 
                            D i r i t t o 
 
    La Commissione osserva quanto segue. 
a) Secondo un consolidato  orientamento  della  Corte  di  cassazione
l'esposizione di un credito  d'imposta  nella  denuncia  del  redditi
costituisce, in se', istanza di rimborso e, come  tale,  soddisfa  la
condizione posta dall'art. 38 del d.P.R. n. 602/1973 per  evitare  la
decadenza del credito. 
    I giudici di legittimita', che hanno affrontato numerose volte la
questione, sono concordi nel ritenere che l'art.  38  del  d.P.R.  n.
602/1973 e la decadenza ivi prevista non e'  applicabile  all'ipotesi
di credito di imposta risultante  dalla  dichiarazione  dei  redditi,
dato  che  l'art.  38  richiamato  disciplina  situazioni  totalmente
differenti, e cioe' quando si sono verificati fatti che impongono  al
contribuente di attivarsi  entro  un  determinato  termine  per  fare
conoscere all'Amministrazione sia la fonte  del  preteso  diritto  al
rimborso che la volonta' di ottenere il  rimborso.  Tali  fatti,  per
previsione espressa e tassativa  dell'art.  38  DPR  n.  602/73  (che
sancendo una decadenza e'  norma  di  stretta  interpretazione)  sono
l'errore materiale, la duplicazione, l'inesistenza totale o  parziale
dell'obbligo di versamento. Nessuno di questi fatti si e'  verificato
nel caso sottoposto ad  esame,  sicche'  la  norma  invocata  risulta
totalmente estranea ed indifferente. 
    Questo non significa pero' che il contribuente non possa proporre
il ricorso previsto dagli articoli 18 e 19 del d.lgs. n.  546/92,  al
fine di ottenere il rimborso del credito indicato  in  dichiarazione.
Escludere tale possibilita' comporterebbe un conflitto di tali  norme
con  l'art.  113  della  Costituzione,  che  garantisce   la   tutela
giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi  agli
organi della giustizia ordinaria o amministrativa. 
    Il fatto  che  il  credito  risultante  dalla  dichiarazione  dei
redditi  non  rientri  nelle  ipotesi  di  silenzio-rifiuto  previste
dall'art. 38, commi 1 e  2  del  d.P.R.  n.  602/73,  non  significa,
dunque, che il silenzio-rifiuto non possa risultare in altro modo. 
    L'art. 19 lettera G del d.lgs. n. 546/92 considera impugnabile il
rifiuto espresso o tacit° della  restituzione  di  tributi,  sanzioni
pecuniarie ed interessi o altri accessori non  dovuti,  concetto  ben
piu' ampio e non strettamente  correlato  al  procedimento  descritto
nell'art. 38 del d.P.R. n. 602/73 che, come gia accennato, assoggetta
l'istanza di rimborso a termini  di  decadenza  non  suscettibili  di
estensione  all'ipotesi  di  rimborso  di  credito  risultante  dalla
dichiarazione. 
    In questa  ultima  ipotesi,  invece,  l'istanza  di  rimborso  e'
formulata con la stessa dichiarazione dei redditi da cui  risulta  il
credito d'imposta. 
    Sulla  base  della  giurisprudenza  appena  richiamata,   dunque,
qualora il contribuente  abbia  evidenziato  nella  dichiarazione  un
credito d'imposta: 
        non si applica, al fini del rimborso del relativo importo, il
termine di decadenza previsto dall'art. 38 del d.P.R. n.  602/73,  ma
l'ordinario termine di prescrizione decennale; 
        non occorre  la  presentazione  di  un'apposita  istanza,  in
quanto  l'Amministrazione,  resa  edotta  con  la  dichiarazione  dei
conteggi effettuati dal contribuente, e' posta in grado di  conoscere
la pretesa creditoria. 
b) Definita una volta  per  tutte  la  questione  ed  essendo  oramai
pacifico  che  il   credito   risultante   dalla   dichiarazione   e'
rimborsabile, se spettante, a prescindere da una autonoma  stanza  di
rimborso  ed  e'  soggetto  all'ordinaria   prescrizione   decennale,
l'ulteriore quesito affrontato dalla Corte  di  cassazione  e'  stato
quello di individuare  con  chiarezza  il  dies  a  quo  da  cui  far
decorrere la prescrizione del termine di cui all'art. 2946 del codice
civile. 
    Infatti mentre da un lato si affermava che tale giorno coincideva
con la data di presentazione della dichiarazione -  sent.  nn.  11416
del 5 settembre 2001 e 11511 del 7 settembre  2001  -  dall'altro  si
riteneva che il termine decennale iniziasse a decorrere solo dopo che
il credito si fosse consolidato a seguito di riconoscimento esplicito
da parte della Amministrazione o di riconoscimento implicito, per non
aver l'Amministrazione  provveduto  a  rettificare  la  denuncia  dei
redditi entro il termine di cui all'art. 36-bis  del  600/1973  o  di
quello previsto per la notifica dell'avviso di accertamento  -  sent.
n. 11830 del 6 agosto 2002 e n. 3718 in data 14 gennaio 2005. 
    Con l'ordinanza n. 5066 dell'11 marzo 2004 la sezione  tributaria
della Cassazione ha chiesto al Primo Presidente  di  sottoporre  alle
Sezioni  Unite  la  questione  al  fine  di  risolvere  il  conflitto
giurisprudenziale creatosi. 
    La Corte di cassazione, Sezioni Unite, con sentenza n. 2687 del 7
febbraio 2007 ha dato risposta al quesito affermando che, poiche'  il
termine entro cui l'Amministrazione deve, ai sensi  dell'art.  36-bis
del d.P.R. n. 600/73, procedere al rimborsi  eventualmente  spettanti
al   contribuente,   e'   meramente   acceleratorio   nei   confronti
dell'Amministrazione stessa e non impone al contribuente di attendere
la scadenza del termine per promuovere azione  giudiziaria  a  tutela
dei  suoi  diritti,  la  prescrizione  decennale  del   diritto   del
contribuente  inizia  a  decorrere   con   la   presentazione   della
dichiarazione del redditi in cui e' chiesto il rimborso. 
    I giudici  di  legittimita'  hanno  motivato  la  loro  decisione
partendo dall'esame del testo originario dell'art. 36-bis del  d.P.R.
n. 600/1973 che, nel regolare il controllo formale o cartolare  sulle
dichiarazioni  dei  redditi,  impone  agli   uffici   finanziari   di
procedere,  oltre  che  alla  liquidazione  delle  somme  dovute,  ai
rimborsi spettanti al contribuente. 
    La norma, nella sua formulazione  originaria,  non  poneva  alcun
termine  all'attivita'  di  controllo  e  in  simile  situazione  era
impossibile ipotizzare che si imponesse al contribuente di  attendere
sine die l'adempimento degli uffici. 
    A parere dei supremi giudici, pertanto, e' logico supporre  -  in
assenza di puntuali indicazioni testuali contrarie -  che  quando  il
legislatore e' intervenuto con il d.P.R. n. 506/79, per stabilire che
l'attivita'  di  controllo  debba  compiersi  entro  il  31  dicembre
dell'anno successivo a quello di presentazione  della  dichiarazione,
abbia voluto espressamente fissare un limite temporale  all'esercizio
da parte  della  Amministrazione  dei  suoi  poteri,  senza  peraltro
istituire un limite anche all'esercizio dei diritti del contribuente.
Cio'  che  accadrebbe,  invece,  qualora  quest'ultimo  non   potesse
esercitare il proprio diritto fino alla scadenza  del  termine  entro
cui la legge fa obbligo allo Stato di procedere al rimborso, trovando
per questa via applicazione l'art.  2935  del  c.c.  secondo  cui  la
prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il  diritto  puo'
essere fatto valere. 
    L'Amministrazione verrebbe, infatti, a trovarsi in  posizione  di
ingiustificato vantaggio rispetto a qualsiasi altro debitore, potendo
fruire di  un  termine  dilatorio  e  privilegiato,  con  conseguenze
sull'applicazione  dell'art.  24  della  Costituzione,  dato  che  si
porrebbe un limite all'esercizio giudiziale di un diritto. 
c) Risolta la questione  relativa  alla  decorrenza  del  termine  di
prescrizione decennale nel senso di ritenere che la stessa  inizia  a
decorrere con la presentazione della dichiarazione dei redditi in cui
e'  chiesto  il  rimborso,  venendo  alla  fattispecie  concrete,  la
Commissione osserva che l'istanza di rimborso a seguito  della  quale
e' intervenuto il silenzio rifiuto  dell'Amministrazione  finanziaria
e' quella presentata in sede di dichiarazione dei redditi nel 1984. 
    Premesso che la dichiarazione de quo e' stata  presentata  il  27
aprile 1984,  il  termine  decennale  di  prescrizione  del  credito,
decorrendo, secondo quanto chiarito dalla Corte di  cassazione  nella
sentenza n. 2687 del 7 febbraio 2007, da tale data, si e' compiuto il
28 aprile 1994. 
    Ne  consegue  che  poiche'  il  primo  sollecito   di   rimborso,
finalizzato all'interruzione del termine, e' del 15 maggio 1996, esso
e' intervenuto quando il diritto era gia' prescritto. Vale la pena di
sottolineare  che  la  prescrizione  e'  intervenuta  non  solo   con
riferimento alla data di presentazione della dichiarazione  ma  anche
con riferimento all'eventuale piu' ampio  termine,  peraltro  escluso
dalle Sezioni  Unite  della  Cassazione,  decorrente  dalla  scadenza
assegnata all'ufficio per il controllo formale  ex  art.  36-bis  (in
questo caso il diritto al rimborso, infatti, si sarebbe prescritto il
31 dicembre 1995). 
    La Commissione osserva che  tali  argomentazioni,  tuttavia,  non
sono sufficienti a risolvere la controversia  dato  che  la  societa'
ricorrente invoca l'applicazione dell'art. 2, comma 58, della  l.  n.
350/2003 laddove prevede the Nel  quadro  delle  iniziative  volte  a
definire le pendenze con i contribuenti, e di rimborso delle imposte,
l'Agenzia delle Entrate provvede alla erogazione delle  eccedenze  di
IRPEF  e  IRPEG  dovute  in  base  alle  dichiarazioni  dei   redditi
presentate fino al 30 giugno 1997,  senza  far  valere  la  eventuate
prescrizione del diritto del contribuente. 
d) In proposito la Commissione ritiene che debba essere sollevato, in
quanto  rilevante  e  non  manifestamente  infondato,  il  dubbio  di
costituzionalita' sull'art. 2 comma 58 della Legge 24 dicembre  2003,
n.  350  (Disposizioni  per  la  formazione  dei  bilanci  annuale  e
pluriennale dello Stato). 
 
                           Sulla rilevanza 
 
    L'estinzione del diritto al rimborso  per  avvenuta  prescrizione
dove essere eccepita dalla parte che vi ha interesse  ed  in  effetti
l'Ufficio, nella  fattispecie  concreta,  ha  svolto  le  sue  difese
eccependo  esclusivamente  la  tardivita'  dell'istanza  di  rimborso
proprio in funzione dell'avvenuta prescrizione. 
    L'eventuale estinzione del diritto per prescrizione e'  rilevante
nel presente giudizio  perche',  a  causa  del  tempo  trascorso  dal
periodo di imposta in questione l'Ufficio non e'  piu'  in  grado  di
verificare  l'esito  delle  attivita'  di  liquidazione,  posto   che
all'epoca non era stato  ancora  introdotto  il  Sistema  Informatico
dell'Amministrazione Tributaria, il quale solo in alcuni casi  e'  in
grado di rilevare l'esistenza di rimborsi effettuati molti anni  dopo
e comunque non ha la possibilita' di stabilire con certezza che altri
crediti non siano stati rimborsati; in ogni caso non e' in  grado  di
verificare e riferire l'esito delle attivita' di liquidazione perche'
si tratta di pratiche amministrative i cui fascicoli sono stati  gia'
destinati   al   macero.   Peraltro    l'obbligo    della    Pubblica
Amministrazione  di  custodire  la  documentazione   delle   pratiche
fiscali, fuori dai casi dell'esistenza di controversie in corso,  non
puo', essere prolungato oltre il termine ordinario  di  prescrizione,
cosi' come e' stabilito per  i  privati  dall'art.  2220  del  codice
civile, con la deroga prevista dall'art. 22, secondo comma del d.P.R.
600/73. 
    L'oggettiva impossibilita, per l'Amministrazione Finanziaria,  di
contrastare nel merito la pretesa del ricorrente dovrebbe comportare,
qualora  non  fosse  eccepita  la  prescrizione,  l'accoglimento  del
ricorso  e  la  condanna  dell'Agenzia  al   rimborso   delle   somme
risultanti, come crediti di imposta, dalle copie delle  dichiarazioni
prodotte dalla  ricorrente.  Copie  indubbiamente  utilizzabili  come
prova, salvo che non ne sia esplicitamente contestata la  conformita'
agli originali (art. 2719 del codice civile), contestazione  che  non
e' stata prospettata dall'Ufficio e che non potrebbe  essere  dedotta
proprio perche' manca la disponibilita' degli originali (presentati a
suo tempo al Centro di Servizio) e la possibilita' di un confronto. 
    Dunque la questione relativa alla prescrizione del diritto e'  di
importanza risolutiva per la definizione del giudizio. 
    Del  resto  la  rilevanza  deve  essere  valutata   in   funzione
dell'inesistenza di una possibile diversa interpretazione, conforme a
Costituzione, della norma denunciata ed in funzione  di  una  diversa
soluzione della controversia che  prescinda  dall'applicazione  della
norma sospetta d'incostituzionalita'. Nel caso di specie  ne'  l'una,
ne' l'altra soluzione sono possibili. 
    In primo luogo  nessun'altra  interpretazione  e'  possibile  del
citato articolo dato che esso e' chiaro nella sua portata  letterale.
In secondo luogo, come gia' osservato, non e' possibile risolvere  la
questione odierna  senza  la  diretta  applicazione  della  norma  in
contestazione. 
    Considerata  la  rilevanza  della   questione,   deve   valutarsi
l'ulteriore profilo della non manifesta infondatezza. 
 
                  Sulla non manifesta infondatezza 
 
    A parere di questo Collegio, l'art. 2 comma  58  della  Legge  24
dicembre 2003, n.  350,  nel  prevedere  che  (...)  l'Agenzia  delle
Entrate provvede alla erogazione dale  eccedenze  di  IRPEF  e  IRPEG
dovute in base alle dichiarazioni dei redditi presentate fino  al  30
giugno 1997, senza far valere la eventuale prescrizione  del  diritto
del contribuente e' palesemente contrario ai principi  costituzionali
di uguaglianza, di ragionevolezza, di  tutela  giurisdizionale  e  di
organizzazione dei pubblici uffici secondo criteri di buon andamento,
di imparzialita' e di efficienza  della  Pubblica  Amministrazione  e
viola gli artt. 3, 113 e 97 della Costituzione. 
1)  La  norma  e'  contraria  al  principio  di  eguaglianza  perche'
discrimina tra le parti del  processo  e  tra  diverse  categorie  di
contribuenti. 
    A parere di chi scrive la norma in esame, che vieta solo  ad  una
delle parti il potere di dedurre  ed  eccepire  fatti  e  circostanze
rilevanti ai fini della decisione costituisce un unicum di cui non vi
e' altro esempio nella legislazione vigente. 
    La struttura della norma e' singolare  e  irragionevole  perche',
pur incidendo sui diritti soggettivi ed in  particolare  sull'obbligo
della P.A. di eseguire un rimborso, perviene a questo  risultato  non
modificando  le  norme  di  diritto  sostanziale  sulla  prescrizione
(eventualmente prolungando la durata del  termine),  ma  alterando  i
poteri processuali di una delle parti in causa. 
    L'anomalia e' ancora piu' evidente ove si consideri the essa  non
modifica la disciplina del processo in modo paritario per le parti ma
si  rivolge  soltanto   ad   un   organo   interno   della   Pubblica
Amministrazione, vietandogli di esercitare una facolta'  prevista  in
generale  dall'ordinamento  processuale,  che  resta   in   apparenza
inalterato. 
    Con   questo   singolare   meccanismo   normativo    si    incide
sostanzialmente  sull'istituto  della  prescrizione   con   efficacia
retroattiva e in violazione dei principi generale, sanciti  dall'art.
3 della legge 27 luglio 2000, n.  212  (Disposizioni  in  materia  di
statuto dei diritti del contribuente), il  quale  stabilisce  che  le
disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo e che i termini
di prescrizione e di decadenza per  gli  accertamenti  d'imposta  non
possono essere prorogati. 
    La norma e' in contrasto con il secondo comma dell'art. 113 della
Costituzione perche' esclude la tutela giurisdizionale  della  stessa
Pubblica Amministrazione per determinate categorie di atti. 
    Infatti essa vieta all'Agenzia delle Entrate  di  far  valere  la
prescrizione soltanto per le eccedenze di IRPEF  e  IRPEG  dovute  in
base alle dichiarazioni dei redditi  presentate  fino  al  30  giugno
1997, favorendo, pertanto, solo alcune categorie  di  contribuenti  a
scapito di altri, a cominciare da quelli le  cui  dichiarazioni  sono
state presentate dopo il 30 giugno 1997.  Ed  e'  questo  il  secondo
profilo  della  violazione  del  principio  di  uguaglianza,  sancito
dall'art. 3 della Costituzione. 
2) La norma e'  contraria  al  principio  di  ragionevolezza  perche'
estendendo il divieto ai rapporti derivanti da tutte le dichiarazioni
anteriori al 30 giugno 1997 senza alcun  limite  iniziale,  offre  ai
contribuenti  la  possibilita'  di  riaprire  ad   libitum   rapporti
giuridici di credito anche risalenti al passato remoto. 
    Essa contrasta con il principio di ragionevolezza  anche  perche'
l'espressione  Nel  quadro  delle  iniziative  volte  a  definire  le
pendenze con  i  contribuenti  e'  priva  di  senso  e  di  contenuto
precettivo, e si presenta come una  giustificazione  incongrua  della
speciale  deroga  alla  generate  applicazione  delle   norme   sulla
prescrizione. 
    Infatti tale espressione  non  puo'  che  fare  riferimento  o  a
rapporti sub  sudice,  e  quindi  non  suscettibili  di  prescrizione
(giacche' il termine di prescrizione resta sospeso durante  tutto  il
corso della lite e fino alla  conclusione  definitiva  del  processo,
art. 2945  secondo  comma  del  codice  civile),  oppure  a  rapporti
tributari per i quali siano ancora aperti i termini di  accertamento,
per  i  quali  ovviamente  non   puo'   essersi   verificata   alcuna
prescrizione. 
    Ugualmente  privo  di  senso  e'  l'inciso   Nel   quadro   delle
iniziative...  di  rimborso  delle  imposte   perche'   l'espressione
iniziative di rimborso delle imposte non puo' fare riferimento che al
rimborso d'ufficio, previsto dall'art. 42-bis del d.P.R.  602/73,  e,
in virtu' del rinvio contenuto nella suddetta norma, al potere/dovere
dell'ufficio di procedere alla liquidazione delle  dichiarazioni  dei
redditi ex art. 36-bis d.P.R. 600/73.  Ma,  nel  senso  suddetto,  il
riferimento all'iniziativa  dell'ufficio  non  ha  alcun  significato
normativo, anche perche'  la  liquidazione  deve  avvenire  entro  un
termine piu' breve e percio' non  puo'  mai  essersi  verificata  una
prescrizione del diritto del ricorrente. 
    Se poi,  per  assurdo,  si  volesse  estendere  la  classe  delle
iniziative  a  tutte  le  richieste  di  rimborso   provenienti   dai
contribuenti, la norma dovrebbe significare che di fronte a qualunque
rivendicazione tardiva e remota, l'Agenzia delle Entrate non potrebbe
piu' opporre alcuna difesa. Questo confermerebbe la censura di totale
irragionevolezza. 
    Dunque  il  divieto  rivolto  agli  Uffici,  di  far  valere   la
prescrizione,  puo'  fare  riferimento  soltanto  al  rimborso  delle
imposte il cui diritto sia stato  gia'  definitivamente  riconosciuto
dall'Amministrazione in uno dei modi sopra specificati  dalle  citate
sentenze della Corte di Cassazione. 
    Ma sotto questo profilo non si comprende quale  possa  essere  la
ragione di  politica  legislativa  per  cui  lo  Stato  abbia  voluto
rinunciare ad un'eccezione fondata  sulle  norme  di  diritto  comune
(valevoli per tutte le situazioni di prolungata  inerzia  dell'avente
diritto), favorendo, come gia' rilevato, soltanto alcuni contribuenti
e penalizzando tutti gli altri. 
3) La norma rivela la sua assoluta irragionevolezza  e  il  contrasto
inconciliabile con l'art. 97 della Costituzione di organizzazione dei
pubblici uffici secondo criteri di buon andamento,  di  imparzialita'
della  Pubblica  Amministrazione,  ove  si  considerino  gli  effetti
perversi che essa produce, perche' puo' dare adito a vere  e  proprie
frodi in danno dell'erario. 
    La liquidazione della dichiarazione,  prevista  dall'art.  36-bis
del d.P.R. n. 600/73, non prevedeva, e non prevede  tuttora,  che  il
disconoscimento del credito di imposta, esposto  nella  dichiarazione
dei redditi, debba  essere  formalmente  comunicato  al  dichiarante.
Infatti,  mentre  il  primo  comma  stabilisce  che  all'esito  della
liquidazione l'Ufficio  deve  provvedere  ad  effettuare  i  rimborsi
eventualmente spettanti in base alle dichiarazioni,  il  comma  terzo
stabilisce soltanto che,  ai  fini  delle  correzioni,  esclusioni  e
riduzioni previste dal comma  secondo,  l'ufficio  deve  invitare  il
contribuente, anche a mezzo telefono  o  a  mezzo  posta,  a  fornire
chiarimenti in ordine ai dati  contenuti  nella  dichiarazione  e  ad
esibire o  trasmettere  ricevute  di  versamento  e  altri  documenti
indicati nella dichiarazione ma ad essa non allegati o  difformi  dai
dati forniti da terzi. 
    Vero e' che  la  legge  n.  212/2000  (statuto  dei  diritti  del
contribuente) all'art. 6 comma 2 stabilisce:  L'amministrazione  dove
informare  il  contribuente  di  ogni  fatto  o  circostanza  a   sua
conoscenza dai quali possa derivare il mancato riconoscimento  di  un
credito ovvero  l'irrogazione  di  una  sanzione,  richiedendogli  di
integrare  o  correggere  gli  atti  prodotti  che   impediscono   il
riconoscimento, seppure parziale, di un credito. 
    Anche questa  norma  pero'  non  prevede  l'emanazione,  dopo  la
richiesta di chiarimenti e della esibizione di documenti, di un  vero
e proprio provvedimento di rigetto della richiesta di rimborso. 
    Ma quand'anche  si  volesse  affermare  che  da  essa  scaturisce
l'obbligo dell'Amministrazione di comunicare il rifiuto del  rimborso
del credito esposto nella  dichiarazione,  essa  non  puo'  esplicare
effetti sul passato e sui procedimenti definiti prima dell'entrata in
vigore della citata legge n. 212/2000. 
    Dunque, in precedenza,  e  specificamente  all'epoca  in  cui  si
procedeva alla liquidazione delle dichiarazioni presentate negli anni
1983/84, il dichiarante poteva essere informato  del  disconoscimento
del  credito  solo  indirettamente,  quando  riceveva   un   rimborso
inferiore alla somma da lui esposta nella dichiarazione oppure quando
la liquidazione metteva in evidenza non un credito ma  un  debito  di
imposta.  Viceversa,  quando  l'ufficio,  anche  dopo  avere  chiesto
chiarimenti e documenti, si limitava a  disconoscere  il  credito  di
imposta,  non  era  tenuto  ad  eseguire  alcuna   comunicazione   al
dichiarante. 
    Si tratta di  una  carenza  normativa,  a  cui  tuttavia  non  e'
possibile porre rimedio con la legge n. 212  entrata  in  vigore  nel
2000. 
    Questa deficienza va poi messa in  relazione  con  la  situazione
determinatasi  con  il  riordino  degli  uffici  dell'amministrazione
finanziaria e con la soppressione dei  centri  di  servizio,  che  in
passato  erano  deputati  alle  attivita'   di   liquidazione   delle
dichiarazioni dei redditi e di  rimborso  e  recupero  delle  imposte
liquidate.  E  si  deve  tenere  conto  delle   esigenze   di   buona
organizzazione e di  economicita'  nel  funzionamento  degli  uffici,
esigenze che impongono l'eliminazione della  documentazione  cartacea
risalente ad annualita' remote e a rapporti ormai definiti ovvero non
fatti oggetto di controversie pendenti. A cio' si aggiunga che  anche
i  dati  informatici  relativi  alle   dichiarazioni   ultradecennali
talvolta non sono  stati  mai  archiviati  su  supporto  informatico,
talaltra sono stati eliminati quando si trattava di dichiarazioni non
assoggettate ad accertamento e/o a contestazione. Sta di fatto che le
interrogazioni  al  SIAT  non  consentono  di  conoscere  l'esito  di
dichiarazioni relative ad annualita' antecedenti al decennio. 
    Queste circostanze hanno determinato la  concreta  impossibilita'
dell'Ufficio di risalire agli atti di liquidazione compiuti  in  anni
remoti e di  giustificare  la  non  spettanza  del  rimborso  per  le
dichiarazioni risalenti agli anni 80. 
    Risulta  percio'  evidente  come   sia   possibile   che   alcuni
contribuenti, malgrado l'inerzia serbata ben oltre il decennio  della
prescrizione, possano approfittare di questa situazione di  impotenza
della controparte per rispolverare  vecchie  dichiarazioni  non  piu'
soggette  ad  accertamento  (e   dunque   estranee   a   qualsivoglia
contenzioso), che si chiudevano con un credito di imposta a suo tempo
non   riconosciuto   e   pretendere   ora   il    rimborso,    quando
l'amministrazione finanziaria non e' piu' in grado di contrastare  la
pretesa a causa della distruzione delle  pratiche  cartacee  e  della
preclusione dell'eccezione di  prescrizione,  rivolta  soltanto  agli
uffici finanziari  e  contenuta  nell'art.  2,  comma  58,  della  l.
350/2003. 
    Percio', deve ravvisarsi, sotto  questi  molteplici  aspetti,  un
conflitto della citata norma con  i  principi  sanciti  dall'art.  97
della Costituzione, secondo cui gli uffici pubblici sono  organizzati
secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati  il  buon
andamento e l'imparzialita' dell'amministrazione. 
e)  E',  dunque,  necessario   sollevare   d'ufficio   questione   di
legittimita' costituzionale della predetta norma, in  relazione  agli
articoli 3, 97 e 113 secondo comma della Costituzione, posto che essa
impedisce all'Agenzia delle Entrate di eccepire la prescrizione.